CLAUS GATTERER, GIORNALISTA E STORICO
AUTONOMIE, FEDERALISMO, EGOISMI NAZIONALI
BREVE VIAGGIO NEL MONDO SUDTIROLESE IN COMPAGNIA DI CLAUS GATTERER
VECCHIO MONDO CONTADINO E PRIME CONSEGUENZE DELLA MODERNITÀ INDUSTRIALE
L'IMPOSIZIONE AI SUDTIROLESI DELLE SCUOLE NELLA SOLA LINGUA ITALIANA
IL FASCISMO NEI VILLAGGI SUDTIROLESI: LA DOPPIA MORALE
NAZISMO E FASCISMO: I SUDTIROLESI NE VIVONO LE OTTUSITÀ E SANNO DELLE ABERRAZIONI…
LE OPZIONI: LA RICETTA LACERANTE DEI NAZI-FASCISTI AI PROBLEMI DELLA CONVIVENZA
OPZIONI: PRESSIONI PER SMEMBRARE UN POPOLO
MI SFORZO DI GUARDARE LA SITUAZIONE CON L'OCCHIO DEGLI ALTRI
Claus Gatterer
Personaggio in qualche modo emblematico di un Suedtirol aperto al mondo, a cominciare dagli italiani che ci risiedono, Claus Gatterer ha raccontato la sua infanzia in un libro edito in italiano da Praxis3 di Bolzano “Bel Paese, brutta gente”, un infanzia (gli anni ‘20 e ‘30) segnati dal fascismo e dalla vicenda, per molti versi ancora avvolta dalla nebbia, delle “opzioni”, cioè della scelta tra rimanere o partire con le proprie cose verso il Reich chiesta da Hitler e Mussolini ai sudtirolesi quale mezzo per la definitiva soluzione della questione sudtirolese (e che mise in moto non poche contraddizioni).
Diamo ampi stralci di questa lettura per molti versi dolce, limpida ma anche netta, che mette, diciamo, “con le spalle al muro” molte responsabilità.
Claus Gatterer, giornalista e storico
Nato a Sesto Pusteria in provincia di Bolzano il 27 marzo 1924, figlio di una famiglia di piccoli contadini, frequenta il Liceo classico presso il collegio vescovile di Bressanone.
Dal 1945 inizia la sua attività di giornalista a Bolzano, proseguita poi ad Innsbruck, Salisburgo e Vienna in quotidiani, settimanali e, infine, all'ente radiotelevisivo austriaco ORF.<
Oltre che giornalista, Claus Gatterer è un importante storico che si è occupato dei problemi dell'Austria multietnica, in particolare ai problemi di convivenza tra popolazioni diverse, dando un contributo significativo all'approfondimento delle tematiche dei rapporti tra Stati e minoranze etnico-linguistiche.
Tra i suoi libri sono stati tradotti in lingua italiana:
Cesare Battisti - Ritratto di un alto traditore, editore La nuova Italia, Firenze, 1975
Italiani maledetti, maledetti austriaci, editore Praxis 3, Bolzano, 1986
Bel Paese, brutta gente, editore Praxis 3, Bolzano, 1989
In lotta contro Roma. Cittadini, minoranze e autonomie in Italia, editore Praxis 3, Bolzano, 1994
Gatterer è scomparso a Vienna il 28 giugno 1984 ed è sepolto a Sesto Pusteria.
Autonomie, federalismo, egoismi nazionali
L'autonomista Gatterer, il federalista Gatterer - ci si può chiedere - avrebbe approvato il movimento delle Leghe? Probabilmente no. Era troppo sinceramente socialista e internazionalista, troppo persuaso della necessità di una solidarietà fra le genti per farsi affascinare da un populismo che pare riscoprire le autonomie e il federalismo non perchè ci crede in assoluto, ma perchè potrebbero costituire gli strumenti più adatti per coltivare e garantire nel modo più efficace gli egoismi regionali di chi sta relativamente bene a scapito di chi sta sicuramente male.
Rivendicazioni autonomiste e federaliste che si condiscono, per di più, di elementi di presupponenza etnica e perfino razziale in un'Italia che tanti pensavano unita e formata da una sola nazione e che si rivela ora invece più che mai articolata in nazionalità regionali diverse e antagoniste fra di loro.
Tuttavia, anche in questa fase storica in cui è supportato da moventi e movimenti spesso rozzi e che mirano a soluzioni miopi ed egoiste, il problema in quanto tale esiste: quello di un'unità nazionale italiana largamente fittizia, all'interno della quale bolle evidentemente, anche da noi, una potenziale Jugoslavia.
Ecco, il libro di Claus Gatterer "In lotta contro Roma" offre elementi e strumenti di analisi e di riflessione per tentare di capire meglio il tumultuoso presente europeo e italiano. Parla, fra l'altro, dei problemi di Bolzano e di Trieste, di personaggi come Cesare Battisti, Degasperi, ma in un modo che ci induce, oggi a pensare soprattutto a Sarajevo e a Bossi.
Breve viaggio nel mondo sudtirolese in compagnia di Claus Gatterer

Il suo archivio, per dare un esempio, di grande interesse documentario, ha vagato per anni in scatoloni presso persone amiche prima di trovare al Comune di Sesto, dove è nato, una sistemazione.
Dai suoi molti libri, dei quali diversi tradotti anche in italiano, abbiamo scelto alcune pagine da "Bel Paese, brutta gente", editore Praxis 3 di Bolzano, pagine che raccontano la vita quotidiana dei sudtirolesi, la vita di paese, durante un periodo difficile per la minoranza tedesca della provincia di Bolzano, quello dell’arrivo dello Stato italiano con la faccia del fascismo.
Sempre da questa visuale "famigliare" il libro racconta anche un altro momento drammatico: quello delle "opzioni", l’accordo del 1939 tra Hitler e Mussolini per espellere i sudtirolesi dalla loro terra e deportarli in qualche luogo della Germania, magari a germanizzare i territori di nuova conquista.
Chi vorrà leggere il libro, dopo aver assaggiato qui il gusto di un racconto dove la storia è resa attraverso le vicende (e le meschinità, spesso) degli uomini, troverà un testo tanto lieve da leggere quanto pesante per le riflessioni che suscita.
Vecchio mondo contadino e prime conseguenze della modernità industriale
Qui, tra buoi, vitelli, cavalli e maiali, ci si accorgeva anche di come tenacemente il nostro mondo, quello dei contadini, si difendeva da tutto ciò che era nuovo.
Ci si sedeva nella stessa osteria nella quale si era seduto una volta il nonno col papà e come loro si mangiava la stessa minestra di trippe, si mercanteggiava alla stessa maniera e quando si parlava di politica, di Hitler, Mussolini o della Spagna, non ci si arrabbiava. Ci arrabbiavamo invece soltanto per cose più vicine a noi, ad esempio per la nuova fabbrica per la produzione di apparecchiature radiofoniche e che aveva sovvertito tutta la vita contadina.
Schmalzl, un ricco commerciante di bestiame, si lagnava con mio padre affermando che era la rovina del mondo contadino. Attirava irresistibilmente i giovani, tanto che era diventato quasi impossibile trovare un servo agricolo e se avevi la fortuna di trovarne uno, questo non si accontentava più come una volta della paga oltre al vestito e al paio di scarpe che usualmente gli veniva dato. Voleva anche i "contributi".
Un amico del cugino aveva trovato un impiego in quella fabbrica come capo del deposito del legname e Jörg Glatzer era già riuscito a risparmiare tanto da potersi comperare una motocicletta di seconda mano, una di quelle lunghe Guzzi rosse. Indignato Schmalzl osservava:
- Cosa? In motocicletta viaggiano ora i "signori servi"? Bene, bene! E uno come me, con cosa deve viaggiare allora? Non c'è più religione. Dei traditori sono, l'ho detto, tutti traditori sono!
In Val di Sesto, nessuno avrebbe mai criticato i servi che avessero preferito lavorare in fabbrica pretendendo una giusta paga, e nessuno li avrebbe per questo tacciati da traditori. Forse, noi, nella valle, non abbiamo mai avuto dei veri servi. I servi, quelli veri, quelli che intendeva Schmalzl, io li avevo visti una sola volta, da bambino, al cosiddetto Schlengglmarkt.Era questo il giorno di mercato nel quale i servi e le serve agricole si offrivano per un nuovo posto di lavoro, per un anno o per tutta la vita, a seconda del caso.
Camminavano su e giù col passo pesante, uomini sani e robusti come orsi e vecchi canuti, distrutti dalla fatica e stanchi, tutti con il loro cucchiaio infilato nel taschino sinistro della giacca o del panciotto. Tra loro, più vivaci, ma non certo più felici, le serve, vecchie e giovani, belle e brutte, timide o più alla mano: nel complesso uno spettacolo triste di gente che, come diceva mio padre, si metteva in compravendita alla stregua del bestiame.
Chi si godeva questo Schlengglmarkt erano i contadini, quelli ricchi, principalmente i giovani che si comportavano con arroganza. Questo era il giorno in cui i servi, concluso il nuovo contratto, aspettavano il giorno della candelora per passare dal vecchio al nuovo padrone.
Quello era un giorno di festa per i grandi contadini, quelli che avevano tanta terra da potersi permettere i servi. Si potevano osservare mentre tastavano scrupolosamente i muscoli, come se invece di uomini stessero scegliendo cavalli per l'aratro.
Sfacciatamente, senza alcun pudore, palpavano seno e sedere alle serve. Mio padre, disgustato, mi prese per mano e mi condusse via.
Per la verità non erano molti i contadini che si comportavano in quel modo con i servi. Tutto sommato aveva ragione Giani quando diceva, pur detestando questi contadini pieni di arroganza, che i servi qui da noi stavano meglio dei fittavoli e dei mezzadri delle grandi tenute in Italia.
L'imposizione ai sudtirolesi delle scuole nella sola lingua italiana

Ovviamente era a conoscenza dell'esistenza della scuola clandestina tedesca; sapeva che vi veniva insegnata la cosiddetta Kurrentschrift e logicamente deduceva che un bambino non era in grado di separare con la dovuta attenzione le due scritture; una sola lettera nel compito di casa avrebbe fornito un prezioso indizio per portare sulle tracce di questa congiura antinazionale.
Quando il signor Monteforte teneva i suoi discorsi in classe, si metteva in piedi dietro la cattedra con la mano destra appoggiata sul fianco e quella sinistra impegnata in larghi gesti, la testa eretta come se l'auditorio fosse seduto sul soffitto, un facsimile di Mussolini in carne ed ossa.
- Noi siamo - tuonava - problemisti... attualisti... realizzatori!
Non sapevamo cosa significassero quelle parole ma che per noi significava fascismo ci era chiaro.
- Lo spirito della cultura vince con la spada di Roma... Tutto ciò che Roma compie è nello stesso tempo nazionale e universale...
Il fascismo nei villaggi sudtirolesi: la doppia morale
Quando molti anni più tardi cercai di farmi spiegare da una persona, che avrebbe dovuto esserne informata, come il fascismo entrò nella valle, mi rispose:
- Non lo saprei dire. Da un giorno all'altro fu qui.
Il fascismo era presente perchè c'era gente del paese che apparteneva al partito e alle sue organizzazioni. La loro appartenenza, tuttavia, era come per le scritte in italiano: sulla casa del Comune (Gemeindehaus) c'era scritto Municipio - Comune di Sesto; il fornaio (der Bäcker) era diventato il Panificio; e i vari negozi di generi alimentari (Gemischten Warenhandlung) divennero Generi Misti. Tutte esteriorità, vernice che, ad eccezione del municipio, nascondeva gente che era rimasta quella di prima. E più la vernice era vistosa, più la gente tendeva a rimanere ciò che era stata e si voleva fargli dimenticare.
La gente benestante, i commercianti, gli albergatori e i liberi professionisti avevano quasi tutti aderito al partito e nessuno avrebbe pensato a biasimarli. Portavano la cimice all'occhiello nei giorni di festa nazionale, sotto gli abiti civili, avevano la camicia nera.
Questi signori, esclusi ora da quel potere diretto che una volta avevano detenuto, non sapevano rinunciare ad una particolare relazione con le autorità che detenevano il potere attualmente, cioè con i fascisti. La cosa era considerata assolutamente normale ed era da tutti accettata.
Per i poveracci, come il piccolo contadino che aveva un solo paio di capre e una vacca nella stalla, il lavoratore a giornata o l'operaio, per loro la tessere del Partito era, nè più nè meno che la tessera per il pane perchè la legge di quei tempi garantiva impiego e salario solo a chi era iscritto al sindacato unico, quindi al Partito.
Ma la gente comune, quel ceto tra i benestanti e il popolino, la maggior parte dei contadini quindi, stava in disparte. Non era iscritta al Partito, non mandava i figli con i Balilla e le Piccole Italiane, rinunciava ai libri e ai calzoncini gratuiti e proibiva loro qualsiasi relazione con altri bambini:
- Quelli stanno con gli italiani.
Questa proibizione si limitava comunque soltanto ai bambini dei poveri che "stavano con gli italiani". Con quelli dei benestanti avremmo invece potuto senz'altro giocare, se questi si fossero degnati.
In questo si manifestava palesemente la doppia morale del paese.
Ma il fascismo, e tutto ciò che è politica, non sarebbe comprensibile se non si tenesse conto di questa doppia morale.
Nazismo e fascismo: i sudtirolesi ne vivono le ottusità e sanno delle aberrazioni…
L'estate si preannunciava buona; la casa era piena di ospiti e la valle non era mai stata invasa da tanti villeggianti come quell'anno.
Il nostro ospite, il medico di Vienna, quell’anno non c’era.
La mamma ne chiese il motivo ad un altro villeggiante viennese suo amico:
- Si trova nel campo di concentramento di Dachau rispose.- Campo di concentramento? chiese la mamma stupita ma è qualcosa per profughi.- Buona donna le rispose l’amico in quel campo di concentramento non ci sono profughi.I villeggianti tedeschi erano i più numerosi; e in fin dei conti ora anche gli austriaci erano tedeschi. Alcuni si definivano fieramente "Ostmärker" cioè della Marca orientale. La maggior parte non aveva la minima conoscenza nè di noi nè del nostro paese.
Quando salivano in corriera, consultando un vocabolario tascabile, sillabavano faticosamente in italiano, "preco, un pig-lietto Sesto Pusteria cum pagag-lio". Il bigliettaio, un ladino che masticava un tedesco con un accento duro come la roccia, gridava all'autista all'altro capo della corriera:
- Ma questo è prussiano ostia? Prussiano per me è qualcos'altro.La gente rideva. I prussiani si arrabbiavano ma non smettevano di parlare in italiano con le cameriere e con i contadini.
- Tue kaffè cum lacte! - chiese un professore tedesco, al bar della Posta. La cameriera mostrò di non gradire l'ordinazione e pregò l'ospite di esprimersi in tedesco. Questo, imperterrito, continuò ad insistere con il suo "Tue kaffè cum lacte". Con questa ottusa serietà essi intendevano l'hitleriana intoccabilità del confine delle Alpi.
Un pomeriggio di domenica venne da noi Robert, un nostro ex servo. Chiese di mio padre ed insieme si appartarono nel fienile. Di nascosto mio padre gli consegnò la chiave del portone del fienile e quella del granaio. La sera la mamma disse a noi bambini che il giorno dopo avremmo dovuto andare nella Valle di Innerfeld per vedere se gli alpini avevano danneggiato qualcosa dei nostri campi durante le esercitazioni militari e consigliò ai nostri ospiti di approfittare della nostra guida per farsi una bella gita.
Seppi più tardi che queste strane manovre famigliari erano state decise per scopi precauzionali al fine di mascherare un particolare genere di contrabbando.
Robert aveva fatto passare nella notte il confine dell'ex-Austria, come si espresse lui, ad un gruppo di donne e uomini ebrei.
Li aveva nascosti nel nostro fienile e la notte successiva, guidandoli per i sentieri del bosco, li aveva fatti arrivare fino a Dobbiaco da dove, sul trenino azzurro che passa da Cortina, avevano raggiunto il Veneto.
"Ho avuto tanta fortuna col contrabbando che sentivo il bisogno di sdebitarmi con un'opera buona. Così, quando è venuto quello di Kartitsch a dirmi che ci sarebbero un paio di persone, ha detto, che dovrebbero andare via di lì, ho pensato che questa cosa dovevo farla, è un'opera buona ho pensato, questo lo devo fare. Candelostia, sono uomini anche loro, no? A Vienna hanno dovuto pulire le strade con lo spazzolino da denti, ha detto il Kartitsch, e cancellare le scritte sui muri con la lingua mentre venivano presi a pedate nel culo dalle SS.
Questo lo devi fare Robert, mi sono detto, quella gente la devi aiutare, ostia! Sono uomini anche loro."
Il finimondo della stupidità, dell'ottusità e dell'oppressione infuriava e strepitava intorno a noi; imperversava una sarabanda della piccola borghesia, organizzata e diretta dall'alto. Una demenziale pioggia di leggi e di decreti ci veniva addosso: impiegati e professori dovevano portare la divisa (esclusi i nostri perchè erano sacerdoti) (Gatterer frequentava il Seminario di Bressanone n.d.r.); il lei venne soppresso e sostituito con il voi; in tutti gli uffici pubblici fu obbligatorio il saluto romano e abolita la stretta di mano.
In tutte le caserme e le scuole ci si esercitava con il passo romano, il nuovo passo di parata, "un passo difficile", come si espresse Mussolini, "un passo che i pancioni, le mezzemaniche, i deboli e le mezze cartucce non saranno mai in grado di praticare".
Il passo romano era copiato da quello di parata tedesco. Il passo romano fu obbligatorio durante le lezioni di educazione fisica anche da noi nella kiste. Il professore di storia dal naso socratico, che nel suo passato militare era stato anche professore di ginnastica, ci annunciò la novità non senza l'aggiunta di alcuni ironici commenti sulla stupidità di questo scimmiottamento, e sedutosi al pianoforte si mise a strimpellare la canzone del viandante.
A novembre fu messo a punto l'accordo dell'Asse. Il governo italiano emanò le leggi antiebraiche.
Fu loro interdetto il soggiorno in luoghi di villeggiatura frequentati di norma dalla nuova classe, quella in camicia nera e la cimice all'occhiello.
Le opzioni: la ricetta lacerante dei nazi-fascisti ai problemi della convivenza
La maggior parte votò per l'emigrazione, per i tedeschi quindi. Gli uni per fede ed entusiasmo, come affermavano; gli altri perchè in quanto tedeschi non potevano che votare per i tedeschi, malgrado tutte le possibili conseguenze; altri ancora per la speranza di nuove fattorie senza sassi e senza sterpaglia; alcuni nell'attesa che il Führer ripagasse il centopercento sudtirolese con una occupazione liberatrice e pochi altri ancora facendo quello che, per i più, era una decisione drammatica, con leggerezza e per puro spirito di avventura. La maggior parte aveva comunque i suoi buoni motivi personali.
Micheler, per esempio, votò per l'emigrazione perchè non poteva perdonare agli italiani di aver messo in prigione sua figlia insieme a ladre e prostitute; la vicina perchè, come le era stato assicurato, Hitler, nel Reich, non tollerava fatui e pigri milionari; il cugino Michl perchè i parenti della moglie avevano votato per i tedeschi e lei lo aveva minacciato che sarebbe stata presa dalla depressione se avesse dovuto vivere separata dalle sorelle; Rauter perchè nella notte di Natale aveva scoperto, per fortuna ancora in tempo, una catasta di sterpi addossata alla parete del suo fienile pronta per appiccavi il fuoco; Jörg e gli altri della fabbrica di apparecchi radio perchè la fabbrica aveva chiuso i battenti e di nuovo si trovavano a non aver lavoro in patria; i signori Staudinger e Sturmberger perchè i loro figli, giovani idealisti e entusiasti, avevano preteso che i rispettivi genitori seguissero "sulla strada del Reich" loro, i figli, che sentivano il dovere di essere accanto al Führer nell'ora della battaglia decisiva.
Il giorno di Capodanno le mie sorelline tornarono dalla Messa piangendo. Bambini tedeschi le avevano costrette a spintoni ad uscire dal banco che il cappellano aveva assegnato loro all'inizio della scuola. Mio fratello, piangendo, protestava:
- Non voglio più andare a scuola italiana. Voglio andare in quella tedesca. Non voglio lasciarmi gridare dietro walscher.
La mamma lo calmò dandogli dei biscotti.
Il popolo non esisteva più; anche "noi" non esistevamo più, noi, il paese, la comunità paesana. Esistevano soltanto i fronti: di qua i camerati, di là i traditori; di qua gli emigranti, di là coloro che restavano; di qua i tedeschi, di là i walscher; di qua i fedeli, di là i rinnegati.
Noi che eravamo rimasti ci sforzavamo di capire il senso dell'operazione.
I nostri "rimpatriandi" non tornavano a casa ma andavano in esilio in terra straniera, e lì non trovavano un padre che li stringeva al petto e gli sacrificava il più bel vitello della stalla, ma un Führer che pretendeva sacrificio, "fede e olocausto". E' probabile che questo impenetrabile intrico di ipocrisia e menzogna proliferasse soltanto in quella zona di profonda schizofrenia di nazionalismo barbarico che, da parte italiana, voleva guadagnarsi una patria senza popolo mentre dall'altra, da parte tedesca, voleva per sè un popolo senza patria.
I primi treni di emigranti partirono verso nord addobbati di bandiere con croci uncinate, alla volta della "casa" nel Reich.
Gente povera che non aveva niente da perdere e che poteva andarsene senza tanti problemi. Non lasciavano niente, non lasciavano beni, gente che nessuno rimpiangeva.
Come funzionari e funzionarie dell'Aderst e dell'Ado, tra le sventolanti bandiere del regno millenario e il profondo sguardo del Führer, avevano finalmente trovato pane e lavoro tutti quelli che si sentivano predestinati a professioni importanti: avvocati e dattilografe, maestri in prepensionamento e politici mancati, romantici poetuncoli e pettegole donne di pulizia.
Montagne di atti e di documenti crescevano a vista d'occhio: domande di cittadinanza, attestati di arianità, attestati genealogici, domande di volontariato, protocolli su transazioni di proprietà, perizie di stima.
Quanto più caotiche crescevano le montagne di atti e diventava pressante la necessità di ordinarli e di registrarli, tanto più indispensabili diventavano i funzionari dell'Ado; il servizio cartaceo li dispensava da quello militare. Questa loro indispensabilità in patria non incrinava il loro entusiasmo per il fronte, al contrario.
Spedivano verso il Reich ciò che era facilmente disponibile: malati, pensionati, robusti lavoratori e giovani camerati entusiasti, mentre si adoperavano a trattenere in patria tutti coloro che erano utili all'incremento e al prolungamento della guerra cartacea, cioè alla loro indispensabilità, quindi possidenti, contadini, imprenditori. Con questi si poteva discutere per ogni albero e ogni sasso, si poteva stimare, peritare ed avviare interminabili incartamenti.
Non si potrà mai lodare abbastanza l'abnegazione di questi Indispensabili degli uffici dell'Aderst e dell'Ado.
In fin dei conti furono quelli che, grazie anche al fulmineo passaggio del regno millenario, ostacolarono e ritardarono l'esecuzione delle "opzioni".
Tratto da "Bel paese, brutta gente" di Claus Gatterer, casa editrice Praxis 3, via Mendola, 43/a Bolzano, prima edizione italiana 1989
Opzioni: pressioni per smembrare un popolo
La maggior parte votò per l'emigrazione, per i tedeschi quindi. Gli uni per fede ed entusiasmo, come affermavano; gli altri perchè in quanto tedeschi non potevano che votare per i tedeschi, malgrado tutte le possibili conseguenze; altri ancora per la speranza di nuove fattorie senza sassi e senza sterpaglia; alcuni nell'attesa che il Führer ripagasse il centopercento sudtirolese con una occupazione liberatrice e pochi altri ancora facendo quello che, per i più, era una decisione drammatica, con leggerezza e per puro spirito di avventura. La maggior parte aveva comunque i suoi buoni motivi personali.
Micheler, per esempio, votò per l'emigrazione perchè non poteva perdonare agli italiani di aver messo in prigione sua figlia insieme a ladre e prostitute; la vicina perchè, come le era stato assicurato, Hitler, nel Reich, non tollerava fatui e pigri milionari; il cugino Michl perchè i parenti della moglie avevano votato per i tedeschi e lei lo aveva minacciato che sarebbe stata presa dalla depressione se avesse dovuto vivere separata dalle sorelle; Rauter perchè nella notte di Natale aveva scoperto, per fortuna ancora in tempo, una catasta di sterpi addossata alla parete del suo fienile pronta per appiccavi il fuoco; Jörg e gli altri della fabbrica di apparecchi radio perchè la fabbrica aveva chiuso i battenti e di nuovo si trovavano a non aver lavoro in patria; i signori Staudinger e Sturmberger perchè i loro figli, giovani idealisti e entusiasti, avevano preteso che i rispettivi genitori seguissero "sulla strada del Reich" loro, i figli, che sentivano il dovere di essere accanto al Führer nell'ora della battaglia decisiva.
Il giorno di Capodanno le mie sorelline tornarono dalla Messa piangendo. Bambini tedeschi le avevano costrette a spintoni ad uscire dal banco che il cappellano aveva assegnato loro all'inizio della scuola. Mio fratello, piangendo, protestava:
- Non voglio più andare a scuola italiana. Voglio andare in quella tedesca. Non voglio lasciarmi gridare dietro walscher.
La mamma lo calmò dandogli dei biscotti.
Il popolo non esisteva più; anche "noi" non esistevamo più, noi, il paese, la comunità paesana. Esistevano soltanto i fronti: di qua i camerati, di là i traditori; di qua gli emigranti, di là coloro che restavano; di qua i tedeschi, di là i walscher; di qua i fedeli, di là i rinnegati.
Noi che eravamo rimasti ci sforzavamo di capire il senso dell'operazione.
I nostri "rimpatriandi" non tornavano a casa ma andavano in esilio in terra straniera, e lì non trovavano un padre che li stringeva al petto e gli sacrificava il più bel vitello della stalla, ma un Führer che pretendeva sacrificio, "fede e olocausto". E' probabile che questo impenetrabile intrico di ipocrisia e menzogna proliferasse soltanto in quella zona di profonda schizofrenia di nazionalismo barbarico che, da parte italiana, voleva guadagnarsi una patria senza popolo mentre dall'altra, da parte tedesca, voleva per sè un popolo senza patria.
I primi treni di emigranti partirono verso nord addobbati di bandiere con croci uncinate, alla volta della "casa" nel Reich.
Gente povera che non aveva niente da perdere e che poteva andarsene senza tanti problemi. Non lasciavano niente, non lasciavano beni, gente che nessuno rimpiangeva.
Come funzionari e funzionarie dell'Aderst e dell'Ado, tra le sventolanti bandiere del regno millenario e il profondo sguardo del Führer, avevano finalmente trovato pane e lavoro tutti quelli che si sentivano predestinati a professioni importanti: avvocati e dattilografe, maestri in prepensionamento e politici mancati, romantici poetuncoli e pettegole donne di pulizia.
Montagne di atti e di documenti crescevano a vista d'occhio: domande di cittadinanza, attestati di arianità, attestati genealogici, domande di volontariato, protocolli su transazioni di proprietà, perizie di stima.
Quanto più caotiche crescevano le montagne di atti e diventava pressante la necessità di ordinarli e di registrarli, tanto più indispensabili diventavano i funzionari dell'Ado; il servizio cartaceo li dispensava da quello militare. Questa loro indispensabilità in patria non incrinava il loro entusiasmo per il fronte, al contrario.
Spedivano verso il Reich ciò che era facilmente disponibile: malati, pensionati, robusti lavoratori e giovani camerati entusiasti, mentre si adoperavano a trattenere in patria tutti coloro che erano utili all'incremento e al prolungamento della guerra cartacea, cioè alla loro indispensabilità, quindi possidenti, contadini, imprenditori. Con questi si poteva discutere per ogni albero e ogni sasso, si poteva stimare, peritare ed avviare interminabili incartamenti.
Non si potrà mai lodare abbastanza l'abnegazione di questi Indispensabili degli uffici dell'Aderst e dell'Ado.
In fin dei conti furono quelli che, grazie anche al fulmineo passaggio del regno millenario, ostacolarono e ritardarono l'esecuzione delle "opzioni".
Tratto da "Bel paese, brutta gente" di Claus Gatterer, casa editrice Praxis 3, via Mendola, 43/a Bolzano, prima edizione italiana 1989
Mi sforzo di guardare la situazione con l'occhio degli altri
Sono un sudtirolese che di sua volontà ha scelto di vivere a Vienna, ed ho il passaporto austriaco.
Ma non passa anno in cui non capiti due o tre volte in Sudtirolo, come frequento del resto assiduamente altre zone dove vivono minoranze.
Mi sforzo di vedere la situazione nel Sudtirolo non solo con i miei occhi ma anche con gli occhi di quei compaesani che sono ladini o italiani. Certe situazioni mi sforzo di pensarle non solo col mio testone tirolese ma anche di esaminarle con un testa italiana.
Ecco cosa intendo quando dico che non si deve guardare da un occhio solo, quando invito al dubbio, quando affermo che intere generazioni di sudtirolesi in ordine alla storia di questa terra sono state riempite piuttosto di lacune storiche che di sapere.
I sudtirolesi, pur di guadagnare ,rovinano il loro ambiente, la loro patria, e questo avendo loro le competenze legislative in materia di tutela del paesaggio. Le tasse le pagano "all'italiana". La loro fiorente economia la mandano avanti "all'italiana".
Gli "Schützen" che in certe particolari occasioni trasudano patriottismo da tutti i pori e se la prendono per l'abolizione o lo spostamento di alcune festività, quando - la sera di Natale - aspettano dei turisti in casa loro, la festa del Natale e dei regali di Gesù Bambino ai ragazzi viene tranquillamente anticipata di alcuni giorni per avere libera la "Stube" a fini di lucro.
Per dirla in breve ed in modo semplificato: si è perso il terreno spirituale, etico, morale sotto i piedi - ed anche se nel Tirolo la maggior parte dei tumulti e delle rivolte aveva a che fare con questioni di soldi e di proprietà - non vi è mai stata in tutta la lunga storia tirolese tanta avidità di denaro quanta ne vediamo oggi.
Alle origini della scissione della coscienza troviamo ragioni extra-linguistiche. E visto che non ci si ritrova più nella propria identità, quella tirolese di ieri e dell'altro ieri, tutto viene super-compensato in senso nazionalistico. Ecco perchè scoppiano le bombe. (Tra la fine degli anni '70 e gli inizi dell''80 vi furono diversi attentati dinamitardi in provincia di Bolzano, ndr)
Fosse solo per i punti del "pacchetto" ancora aperti, si sarebbero altri mezzi per aiutare Magnago (leader storico sudtirolese, ndr): rimandare indietro ogni lettera scritta in italiano, non parlare l'italiano presso nessuno sportello, con nessun impiegato, rifiutare ogni deposizione davanti al magistrato, al poliziotto, lasciando che gli incartamenti raggiungano i soffitti. Ma per quegli attentatori che hanno intenzioni sincere le bombe scoppiano e le macchine vanno in fiamme perchè non funziona più l'essere sudtirolese o, meglio, l'essere tirolese, perchè c'è un abisso tra la coscienza tirolese ed i comportamenti non tirolesi.
Dalla vecchia storia tirolese non sono riusciti nemmeno ad imparare la semplice verità che democrazia significa l'esercizio pratico e quotidiano del diritto di resistenza di fronte ad ogni autorità.
Brani tratti dal discorso tenuto da Gatterer a Bolzano il 31.1.1981 per il conferimento del premio giornalistico della stampa altoatesina.