Cesare Battisti è una figura esemplare nella storia regionale: ha vissuto appieno le rivendicazioni trentine nei confronti dello Stato asburgico, da posizioni socialiste, e si è impegnato nell’interventismo per la discesa in guerra dell’Italia nel 1915, ritenendo di ottenere per quella via quello che non credeva più fosse possibile ottenere per via politica all’interno del Austria-Ungheria.
Battisti ha perso la vita durante la Prima Guerra Mondiale col marchio infamante del traditore e la foto della sua esecuzione ha campeggiato in molte stube come immagine simbolo del tradimento degli ingrati italiani.
Claus Gatterer ha dedicato un bel libro alla vicenda di Battisti ed anche un valido storico locale, Giorgio Delle Donne, ha studiato a fondo il personaggio, le sue idee e la sua vicenda politica.
Proprio dal libro su Battisti pubblicato da Giorgio Delle Donne abbiamo attinto largamente per offrire ai visitatori del nostro sito un quadro almeno sommario della vicenda umana e politica di Cesare Battisti.
Socialista e riformista
La situazione delle minoranze nazionali tiene anche oggi sul chi vive l’equilibrio geo-politico, non solo in Europa. Attriti e disagi, nei casi migliori, aperti conflitti, con crudeltà che si credevano superate nei casi peggiori, sono sempre all’ordine del giorno.
Possiamo trovare nella storia gli stimoli e gli spunti per individuare delle vie d’uscita civili? Questo è certo il nostro auspicio, noi che viviamo in una terra, l’Alto Adige-Südtirol, di confronto-scontro, noi che giorno per giorno viviamo la ricerca (e la richiesta) di un equilibrio tra popolazioni di lingua diversa, noi che viviamo contraddizioni inedite del rapporto tra minoranza nazionale e popolazione (a sua volta minoritaria sul nostro territorio) appartenente alla cultura dello Stato.
In queste pagine in Internet proponiamo pagine di facile lettura, brevi accenni accessibili a chiunque nel loro significato, adatte ad ogni visitatore del sito.
Moltissimi, infatti, vogliono capire qualcosa di più, così come sempre molto viva é l’attenzione politica e degli studiosi al tema delle soluzioni possibili dei problemi di convivenza tra popolazioni di lingua e cultura diversa (così come di religione).
A questo sforzo di riflessione diamo un contributo presentando la vicenda esemplare di Cesare Battisti, il socialista democratico e riformista che si batté, nella prima fase della propria vita, per l’autonomia del suo Trentino italiano all’interno del Tirolo tedesco (e della Monarchia Austro-ungarica) e che divenne, nell’ultima parte della sua breve esistenza, il più noto tra gli irredentisti italiani, cioè di quanti vollero approfittare della Prima Guerra Mondiale per ricongiungere all’Italia la popolazione italiana sottoposta al governo austro-ungarico.
L’esperienza dei socialisti austriaci e italiani in merito alla questione trentina, prima, e altoatesina, poi, ci sembra interessante. Non solo: anche utile.
Naturalmente il nostro compito di istituzione educativa si limita a proporre degli spunti culturali, a richiamare l’attenzione su di un tema (e, se volete, a proporre un certo punto di vista), dando indicazioni a chi è interessato per degli approfondimenti liberi ed indipendenti.
Il personaggio e la vita
Cesare Battisti nacque a Trento il 4 febbraio 1875. Dopo avere frequentato il liceo a Trento si iscrisse contemporaneamente alle università di Vienna e di Firenze. Nel 1894 si trasferì a Torino, dove iniziò a frequentare il "Circolo Socialista", una delle prime Camere del Lavoro sorte in Italia. Ritornato a Firenze, entrò in contatto con il gruppo di giovani intellettuali formato da Gaetano Salvemini, Gennaro Mondaini, Assunto Mori, i fratelli Mondolfo ed Ernesta Bittanti, che nel 1899 divenne la compagna della sua vita.
Laureatosi nel 1898 con una tesi dal titolo "Il Trentino: saggio di geografia fisica e di antropogeografia", con Renato Biasutti, Cesare Battisti fonda la rivista "La cultura geografica" che, rivendicando una funzione politico-sociale della geografia, prende chiaramente posizione contro le imprese coloniali, in aperta polemica con i geografi nazionalisti che tendevano a fare coincidere le regioni naturali con le unità politiche e, in base a presunte superiorità di razza e missioni di "incivilimento", giustificavano le imprese coloniali.
Nel 1899 Battisti torna a Trento con la moglie.
Il 7 aprile 1900 fondò il quotidiano "Il Popolo", attraverso il quale spiegò il suo passaggio dall'intransigentismo alle tattiche delle alleanze nella linea di Bissolati e Turati.
Nel 1902 viene eletto consigliere comunale di Trento del Partito socialista, carica che ricopre fino al 1914.
Nel 1911, quando aveva già collezionato oltre 100 processi politici, subentra ad Avancini in qualità di rappresentante del Trentino al Parlamento di Vienna.
Eletto deputato di Trento alla Dieta di Innsbruck nel 1914, dopo lo scoppio della guerra austro-serba, il 12 agosto, varca il confine e passa in Italia, intervenendo attivamente nel dibattito per l'interventismo.
Dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria, parte volontario come soldato semplice. Divenuto sottotenente viene catturato dagli austriaci sul fronte del Monte Corno il 10 luglio 1916. Trasportato a Trento viene processato come "alto traditore" e condannato a morte.
La sentenza viene eseguita il 12 luglio 1916 nella "fossa" del castello del Buonconsiglio di Trento.
Battisti e il dibattito politico nella socialdemocrazia austroungarica
IL DIBATTITO POLITICO DELLA SOCIALDEMOCRAZIA AUSTRO-UNGARICA IN MERITO ALLA QUESTIONE DELLE NAZIONALITÁ
Battisti era politico, sociologo e geografo in uno, ed assolse ognuna di queste "professioni" con lo stesso rigore scientifico.
Quando il partito di Adler affrontò il problema di organizzare i proletariati non-tedeschi dei territori cisleithani, si dovette subito confrontare col difficile problema nazionale.
I socialisti polacchi si associarono al partito socialistica austriaco solo provvisoriamente e con la pregiudiziale che i socialisti austro-polacchi intendevano operare per la riunificazione e la risurrezione dello stato polacco (diviso fra Russia, Germania e Austria) e per l'unificazione del proletariato dei tre territori. Questa posizione fu fortemente combattuta dai socialisti germanici (Rosa Luxemburg definì i polacchi "socialpatrioti"), ma sempre difesa dall'Adler e dai socialisti tedeschi d'Austria. Il socialismo polacco adottò la denominazione "Partito socialdemocratico polacco in Austria" e quest'esempio fu presto seguito da altre componenti nazionali dell'austro-marxismo: da cechi, jugoslavi, italiani, ecc.
In ultima analisi, dunque, il socialismo d'Austria risultò essere un'internazionale composta da socialdemocrazie nazionalmente organizzate, rette da propri esecutivi nazionali, che nel loro insieme formavano l'esecutivo centrale. Quale elemento centralistico fungeva il movimento sindacale.
Cerchiamo di sintetizzare in quattro punti i connotati essenziali dell'austro-marxismo:
1. L'organizzazione del movimento operaio in genere e delle socialdemocrazie d'Austria era tedesca. In seno all'organizzazione partitica nacque quella vastissima culturale e quella economico-cooperativistica. Anche i sindaci socialisti erano organizzati tedescamente.
2. I partiti socialisti d'Austria operavano non soltanto in un impero plurinazionale ma spesso anche in ambienti plurinazionali.
3. Dall'ambiente plurinazionale deriva un ambiente culturale tutto particolare. Ogni nazionalità ha parte della nazione fuori dell'Austria oppure parentele fuori dell'Austria; ogni socialdemocrazia nazionale d'Austria tendeva naturalmente ad arricchire il suo bagaglio ideologico e pratico attingendo ai partiti fratelli d'oltre frontiera. Era un continuo arricchirsi a vicenda.
4. L'austro-marxismo era riformista, contrario alla retorica ed alla faciloneria barricadiera, contrario anche al determinismo del marxismo ortodosso.
Il termine "internazionalismo" (anche senza pensare alle deformazioni staliniste) non s'adegua alla realtà austriaca. Elias Canetti, lo scrittore austro-bulgaro, maturato nell'ambiente intellettuale dell'austro-marxismo, insegna che "il nazionalismo non lo si supera tramite l'internazionalismo: ... giacchè le lingue, che parliamo, ci sono. Lo si supera con il plurinazionalismo".
Questo effettivamente era l'orizzonte dei socialisti d'Austria in tutto il loro operato. "E guerra inoltre vuol fare non al sentimento nazionale, ma ad ogni oppressione nazionale. Essere internazionalisti non vuol dire essere antinazionali, ma vuol dire pretendere il rispetto per la propria nazionalità come per tutte le altre ... (Il socialismo) saprà mostrare come il primo principio dell'internazionalismo sia non solo il rispetto, ma la difesa delle singole nazionalità in quanto siano offese."
I rapporti tra socialismo e sentimento patriotico
Nel giornale L’Avvenire, 15 novembre 1895, si legge nel fondo di Cesare Battisti:
Si dice comunemente dai più: "Noi vogliamo seguire costanti le tradizioni dei nostri avi, noi vogliamo continuare ad amare questa patria per cui essi hanno lavorato e sofferto". E che ognuno senta il bisogno di continuare l'opera incominciata dai padri è ben naturale. Ma bisogna credere (e qui sta l'errore veramente madornale) che per continuare quest'opera convenga mettersi in uno stato di assoluta immobilità o smorzare tutte le energie dell'animo per sonnecchiare in una facile imitazione. Forse che il sentimento patriottico presenta sempre dai suoi primordi fino ai nostri tempi la medesima forma? No; anch'esso muta per necessaria evoluzione nelle diverse fasi storiche, presso i diversi popoli.
Prima per patria si intendeva la Grecia di fronte ai barbari, poi Roma, predona di popoli, poi nel Medio Evo le città italiane in lotta furiosa tra loro e via via, con continui cambiamenti, da Dante a Machiavelli fino a Mazzini che pone come cardine dell'idea di patria l'indipendenza delle nazioni. E di periodo in periodo quest'idea della patria appare sempre più bella e sublime, purificata dal sacrificio di tanti eroi e di martiri.
Il socialismo tende a spogliare il sentimento nazionale da quell'orgoglio barbarico che lo deturpa; il socialismo vuole che non si ripeta il nefando costume di onorare i propri grandi col detrarre quelli delle altre nazioni.
A queste idee noi crediamo possa sottoscrivere ogni uomo che non si abbruttito dall'egoismo.
Il socialismo vuole che la cultura non sia un patrimonio esclusivo dei ricchi ma d'ognuno che si sente attratto dalla scienza e dall'arte. Scopo della propaganda socialista è appunto, quello di sollevare la condizione economica dei lavoratori, perché possano farsi coscienti della loro dignità d'uomini, dei loro doveri, dei loro diritti perché l'uomo che è abbruttito dalla miseria e che in causa di questa non ha fiducia in se stesso e nelle proprie forze non può certamente assurgere a nobili e grandi ideali. "
Nella lettera alla moglie, Ernesta Bittanti, del 20 settembre 1898, Battisti scriveva:
"(...) Mi chiedevi quale danno può derivare dai conflitti nazionali? Semplicemente quello di irritare per cose vane le masse operaie che credono d'essere vittime non degli interessi della borghesia, ma degli odi nazionali.
Quel che vale per noi non è il diritto storico, è il diritto naturale. E questo si basa sui bisogni, sulle necessità.
Per un popolo la necessità prima è quella di viver bene, di educarsi, di elevarsi. Viver bene ed elevarsi intellettualmente sono due cose che si completano a vicenda; giacchè un popolo tanto più cresce in civiltà, quanto più economicamente sta bene e viceversa. Ora non v'è progresso, non v'è civiltà pei popoli che vivono sotto tutela.
E' la libertà quella che crea gli organismi vitali, che feconda le iniziative, che educa i caratteri. Libertà dunque di reggerci da noi, noi vogliamo."
La richiesta di Autonomia dei trentini rispetto al governo austro-ungarico
Cesare Battisti, giornale Il Popolo, 13 aprile 1905:
"L'irredentismo in quanto stabilisce i diritti delle singole nazionalità, non può essere misconosciuto dai socialisti. La discussione socialista dovrà riguardare i mezzi di cui l'irredentismo intende valersi, dovrà riguardare non l'irredentismo in sé e per sé, ma i vari tipi o forse meglio le sue adulterazioni.
Noi anzitutto non vogliamo nascondere a noi stessi questo fatto: che anche fra i socialisti i pregiudizi nazionali abbondano; e lo diciamo per rispetto ai socialisti delle altre nazionalità, non sol,o ma anche per rispetto a noi stessi. Il sentimento di nazionalità, fatta forse eccezione per qualche città, a cui i commerci hanno dato un vero carattere internazionale, ha radici così profonde nella nostra coscienza da toglierci spesso l'esatta visione delle cose e da farci giurare anche nel verbo di chi glorifica ed esalta a torto la patria.
Vi sono certi momenti in cui il sentimento nazionale - per ragioni ataviche - prende un tal sopravvento da trascinare irresistibilmente a far quel che fa la maggioranza anche se questa fa il male e non fa il bene.
Ma, a parte questa considerazione, i socialisti austriaci non potranno fare molto - sul terreno dell'azione e non delle sterili protese - in difesa delle minoranze nazionali conculcate, perché ciò, in paesi arretrati come l'Austria, li svierebbe da quel lavoro di educazione politica elementare e di organizzazione delle masse, che si impone pel primo. D'altronde quel giorno che potessero fare molto (e noi ci auguriamo ben di cuore questo giorno) si accorgerebbero che per risolvere il problema delle nazionalità in Austria, bisogna distruggere l'Austria attuale (...).
Per cui mentre c'è da aver poca fiducia nell'opera dei socialisti per quel che possono fare direttamente e subito in pro dei diritti nazionali, c'è molto da sperare in quell'opera di distruzione delle anticaglie austriache che essi verranno compiendo. Non è da ieri che i socialisti vanno predicando che l'Austria, come è ora, va distrutta. Lo predichino ancora; è tutto quel che per giovare alle piccolo nazionalità possono fare.
Come poi abbiano a riorganizzarsi i popoli che fanno parte della Austria, fu discusso dai socialisti del Congresso di Brünn e concentrato in questi capisaldi: Stato federale, democratico, con autonomia a tutte le nazionalità. Oggi a distanza di parecchi anni, c'è da dubitar se l'Austria potrà diventare, un giorno, come speravano i congressisti di Brünn, uno Stato federale, se a ciò si opporrà una tendenza che era ben poco accentuata dieci anni or sono: il pangermanesimo (...)."
Vogliamo venire via dall'Austria
"Superflua pei proletari la discussione se la guerra sia bella o no. Io credo si debba anzitutto chiedersi: E' giusta? Voi avete ammesso esser giuste le aspirazioni di Trento e Trieste. E non negherete che ciò che è giusto è anche utile. Solo credete si possa arrivare alla redenzione degli irredenti per altra via.
Qui sta il vostro errore. Voi nel vostro discorso avete appaiato gli italiani dell'Austria con quelli di Malta, della Svizzera, della Francia. Ma questo è un assurdo. L'Austria non è né l'Inghilterra, né la Svizzera, né la Francia. L'Austria è uno Stato esclusivamente feudale, militarista e clericale. (…)
"Ebbene, distruggetelo, o socialisti dell'Austria. E se occorrerà vi daremo una mano". Vi rispondo: i socialisti dell'Austria hanno tentato, ma non ci sono riusciti. La lotta all'interno s'è mostrata vana. Non è possibile per le differenze nazionali e pel complesso di altre discordanze di carattere economico e sociale coalizzare tante forze, quante occorrono ad abbattere la vecchia Austria.
Ve lo dice, egregio compagno, un socialista che ha accettato di cooperare con tutti gli altri socialisti dell'Austria all'opera di rinnovazione dello Stato su basi democratiche e che ha dovuto concludere che la migliore volontà e la più perfetta buona fede nei rappresentanti socialisti di tutte le nazionalità non bastarono, non bastano all'intento. Invano uomini di alto senno, di provata rettitudine, di cuore generoso come Adler, Daszinski, Nemec, hanno sperato che l'Internazionale proletaria avrebbe potuto creare un'Austria moderna, equanime verso tutte le nazionalità. Il programma è fallito. (…)
E quando il governo austriaco minacciò guerra alla Serbia nel 1912 e quando ora la iniziò, fu il socialismo tedesco che subendola, giustificandola e appoggiandola, s'è trovato a tradire la causa delle altre nazionalità per un complesso di interessi specifici, tutti proprio del proletariato tedesco, cozzanti con gli interessi degli altri. (…)
Caro Morgari, potrei anche tralasciare di dibattere la vostra osservazione che "gli italiani dell'Austria stanno economicamente bene" e che "il guadagno di quei paesi non compenserebbe il sacrificio". Ma troppo sono comuni questi apprezzamenti erronei per non dibatterli. Se foste vissuto un po' di tempo nel Trentino, nel Friuli, nell'Istria, se aveste avuto modo di consultare i discorsi dei deputati italiani al Parlamento di Vienna, vi sareste convinto che tutte queste regioni stanno economicamente malissimo per la assoluta incuria del governo, che le ha trattate proprio come terra di conquista. Trieste sola ha avuto dei vantaggi economici, ma anche su questi v'è parecchio da discutere. (…)
Il Trentino, l'Istria e il Friuli, non sono nulla affatto "rocce sterili". (…)
Il solo Trentino può darvi 250.000 cavalli di forza elettrica, e potrebbe subito dar lavoro a tutti i suoi emigranti (23.000 all'anno su 380.000 abitanti)." (…)
La sintesi di Cesare Battisti sulla presenza italiana in territorio altoatesino
Analizzando la storia della regione, Battisti così si esprimeva rispetto alle fasi di predominanza linguistica tra italiano e tedesco della zona di Bolzano:
… Notevoli mutazioni avvennero nei secoli successivi in conseguenza specialmente del predominio dei principi tirolesi, che influì sulla germanizzazione della val Venosta e del tenere di Bolzano e ne determinò il distacco dal principato di Trento. Sul finire del '400 nella valle dell'Adige, da S. Michele fin verso Bolzano, la popolazione tedesca aveva il sopravvento e veniva con ciò a cadere la giurisdizione dei vescovi di Trento sul comitato di Bolzano.
Cessata nel sec. XVI l'influenza diretta dei principi tirolesi, l'elemento italiano riguadagnò di nuovo terreno in quella plaga fin quasi al punto di bilanciarsi coll'elemento tedesco. La dominazione napoleonica (1810-1814), che includeva nel Dipartimento dell'Alto Adige il cantone di Bolzano con Caldaro ed Egna, ridiede momentaneamente al Trentino i vecchi confini e quel periodo brevissimo bastò perché la lingua italiana ripigliasse nel tenere di Bolzano nuovo vigore.
Pagare con dignità per le proprie idee
E' difficile immaginarsi che un uomo della sua dirittura, della sua coerenza, fosse stato disposto a sacrificare le peculiarità, la libertà altrui.
"Tengo a sottolineare", disse Battisti davanti ai giudici militari nel Castello del Buonconsiglio, "che ho agito perseguendo il mio ideale politico, che consisteva nel raggiungimento dell'indipendenza delle province italiane d'Austria e nella loro unione al regno d'Italia".
L'irredentismo delle minoranze etniche e linguistiche nello stato austro-ungarico
Ogni minoranza etnica - come ogni altro gruppo minoritario - ha il sacrosanto diritto, del resto oggi indiscusso, che le sia garantito, a mezzo di speciali istituzioni, il pieno sviluppo sociale, culturale economico, umano. Ove manchino tali istituzioni o non siano adeguate all'intento, dovranno essere create o ampliate.
L'ineguaglianza non può essere superata con semplici enunciazioni di eguaglianza o con leggi tendenti a rendere eguali individui e comunità di differente peso sociale: l'ineguaglianza può essere superata soltanto con leggi ed accorgimenti "ineguali", che contribuiscano a superare i divari creati dall'eguaglianza.
L'irredentismo italiano in Austria non era - nè esclusivamente, nè prevalentemente - roba d'importazione dal regno sabaudo e merce di contrabbando mazziniana o garibaldina, ma immanente all'Austria stessa.
Questo vale, del resto, per tutti gli irredentismi operanti in Austria, non solo per quello italiano. La lotta per la libertà del Tirolo, nel 1809, era stata lotta (e ribellione) di tirolesi tedeschi, italiani e ladini contro truppe ausiliarie tedesche (bavaresi e sassoni) dell'esercito napoleonico; solo in secondo luogo si trattava di lotta contro gli stessi francesi.
Dopo il 1815, sulla voga dell'imperante romanticismo nazionalistico, questa ribellione trinazionale venne falsificata in una "lotta di liberazione tedesca" contro lo straniero invasore, contro i Welschen in genere.
Mussolini raccolse la memoria degli irredentisti e fece erigere a Bolzano alla fine degli anni ’20 un "Monumento alla Vittoria" nel quale fece porre, simbolicamente, i busti dei tre noti irredentisti giustiziati dagli austriaci: Cesare Battisti, Damiano Chiesa, Fabio Filzi.
Ernesta Bittanti Battisti, "L’erma di Cesare Battisti nel monumento alla Vittoria in Bolzano" in Rivista di Studi Trentini di Scienze Storiche, n.1, 1956:
"… Il falso, per cui Battisti potè in quel monumento esser presentato come un nazionalista negatore dei diritti d'indipendenza dell'Alto Adige e di rappresentante del popolo italiano, che con Badoglio avrebbe, l'8 settembre 1943, rotto con tradimento l'alleanza nazifascista, fu ancora la causa per cui in quei terribili giorni gli altoatesini, nazisti o no, attaccarono con funi l'erma di Lui ad un autocarro, che la trascinò a terra, dove si deformò ed infranse.
In quei giorni anche la riscossa antimussoliniana italiana diveniva necessariamente antitedesca, perché antinazista.
Cosicchè gli italiani residenti a Bolzano ricordarono in Battisti soprattutto l'araldo della libertà e dell'indipendenza italiana, martire della riscossa dalla dominazione austriaca; e con atto di battaglia risposero all'oltraggio con rischiosa audacia cospargendo costantemente di fiori l'erma travolta e spezzata".
L'eredità di Battisti, verificabile attraverso la vita e le opere della moglie Ernesta, dei figli Gigino, Livia e Camillo, vita e opere non meno affascinanti di quella del martire, è a nostro avviso perfettamente racchiusa nella proposta formulata da Livia Battisti negli ultimi anni della sua vita, di non abbattere il monumento alla Vittoria di Bolzano, ma di trasformarlo, dedicando l'intera zona alla convivenza e all'amicizia tra i popoli, eliminando le provocatorie scritte in latino, creando nella cripta un luogo di documentazione che rammenti le vittime dei conflitti nazionali.
Il sentimento nazionale di ogni popolo, anche e soprattutto di quelli che storicamente e naturalmente si sono insediati nelle zone da sempre di frontiera, esige il rispetto della sfera nazionale altrui; ove manca questo rispetto cresce il nazionalismo primario, aggressivo, o quello secondario, conseguenza del primo.
Negare l'importanza del fattore nazionale non è però meno stupido e pericoloso che farne l'apologia. In questa terra estremamente violenta, nonostante la comune matrice cattolica delle popolazioni esistenti, si sono alternati nel corso dei secoli svariati tentativi di assimilazione reciproca, più o meno raffinati, più o meno riusciti, sempre nella logica della "restituzione" del diritto storico delle popolazioni presso le quali non è mai stato possibile sviluppare una politica sinceramente democratica che prescindesse dalla difesa del proprio gruppo etnico.
La questione sudtirolese nell'analisi socialista
Conclusa la Prima guerra mondiale, il territorio della provincia di Bolzano, abitato in grande maggioranza da persone di madrelingua tedesca e di cultura austriaca e, in percentuale molto minore, da persone di origine italiana (specie trentina), viene incorporato nello Stato italiano sulla base del concetto che fosse giustificato comunque raggiungere i confini naturali (lo spartiacque alpino ed il passo del Brennero). Anche i socialisti italiani sono combattuti davanti alla scelta di incorporare nello Stato italiano un territorio così culturalmente differente dal contesto nazionale. Quelle che seguono sono le posizioni di Salvemini (relativamente alla scelta del confine naturale del Brennero o di un confine "napoleonico" o, anche, fino a Bolzano)e di Filippo Turati.
… Gaetano Salvemini sosteneva: "Il problema non si può risolvere alla Mussolini, cioè urlando con gli occhi fuori dalla testa. E' lecito dubitare, discutere, accettare l'una o l'altra soluzione. Noi abbiamo sentito un generale sostenerne un'altra. Per parte nostra propendiamo per la opinione di Battisti e di Bissolati; ma non ci sentiamo il diritto di contrastare risolutamente l'altra. Abbiamo una preferenza, non una volontà.
Anzi non abbiamo difficoltà a dichiarare che, se fossimo proprio sicuri che il nostro Governo saprebbe resistere alle suggestioni dei nostri prussiani, che vogliono conquistare l'Alto Adige per sopprimervi i tedeschi, punendoli del "peccato originale" di avere oltrepassato il Brennero; se fossimo sicuri che il nostro Parlamento concederà all'Alto Adige una completa autonomia, e che nessun impiegato italiano sarà mandato lassù a sabotare gli ordinamenti amministrativi austriaci e a far odiare l'Italia; se fossimo sicuri insomma, che il nostro Governo saprebbe fare dell'Alto Adige una specie di cantone svizzero, del tutto libero nell'amministrazione, nelle scuole, nella vita religiosa, con Dieta propria del tutto indipendente dal Parlamento di Roma, esercitando su di esso solamente l'alta sovranità politica e il diritto di passaggio militare; se fossimo, insomma, sicuri dell'intelligenza e del buon senso del nostro Parlamento, della nostra burocrazia e del nostro abominevole giornalismo; noi aderiremmo con assai minori esitazioni al confine del Brennero."
Fin dall'intervento alla Camera dei deputati del 21 novembre 1918, Filippo Turati, capo dell’ala riformista del Partito socialista italiano, aveva ammonito il Governo e il Parlamento che le popolazioni non italiane delle zone occupate militarmente in seguito all'esito del conflitto avrebbero dovuto essere interpellate sulla loro sorte.
Nel luglio del 1919 Turati depositò alla presidenza del Consiglio un documento sottoscritto da 172 amministrazioni comunali sudtirolesi, che richiedevano il rispetto della loro autodecisione.
Nel corso del dibattito parlamentare sul disegno di legge riguardante l'annessione, Turati presentò un emendamento in base al quale il Trentino ed il Sudtirolo avrebbero dovuto costituire due province separate, con rispettive Diete politico-amministrative.
Filippo Turati, Camera dei Deputati, Atti parlamentari 1920, 5311:
"La prima condizione del rispetto che mettiamo in teoria alla nazionalità, sarebbe quella divisione delle due province, che è il solo modo per non suscitare un irredentismo alla rovescia, per prevenire l'acuirsi del separatismo (...).
Ricordiamo che l'Alto Adige, più ancora del Trentino, è paese clericale, una specie di Vandea austro-germanica, dove sono forze nuove, compresse da un superstite feudalesimo, che anelano a venire alla luce, che noi - finchè occuperemo quelle terre - abbiamo il dovere di proteggere e di garantire (...).
In quella terra in avvenire, o autonoma, o unita all'Italia, o ricongiunta al Tirolo nel Nord, o comunque le piaccia disporre di sé, è destinata a diventare una terra di incontro delle stirpi, una specie di Svizzera italo-tedesca, un campo di conciliazione e di fusione di due grandi civiltà vicine e sorelle."
Filippo Turati, "Critica Sociale" del 1° ottobre 1920:
"Per noi, quali che siano le ragioni di una avvenuta snazionalizzazione, il passato non può imporsi al presente. (…)
… la Svizzera porge l’esempio più decisivo della convivenza pacifica delle stirpi, fondata sui comuni interessi e sulla libertà. (…)
La compressione soltanto crea il separatismo e l'irredentismo dei popoli. (…) Se il gruppo socialista parlamentare riuscirà ad ottenere il rispetto della nazionalità tedesca delle valli atesine, lo stesso principio garantirà seriamente il rispetto di tutte le altre nazionalità conviventi in quella regione, e il pericolo che italiani e ladini "siano assorbiti nella pesante uniformità del germanesimo espansionista e reazionario", sarà ugualmente sventato.
Allora nessuno sarà assorbito che non voglia esserlo, e non vi abbia interesse, e volenti no fit injuria. Si preparerà allora quello che è il voto nostro, di una regione, che sarà il centro naturale di contatto e di fusione di due civiltà, - la latina e la tedesca - che solo il campanilismo stupido dei nazionalisti può collocare in irreduttibile antagonismo. "
L'esperienza del movimento socialista sudtirolese
I socialisti sudtirolesi, capeggiati da Silvio Flor, proposero di organizzarsi autonomamente. Essi rientrarono in possesso della casa del popolo di via Gilm, a Bolzano, costruita nel 1910 ed occupata dall'esercito austriaco il 1° agosto del 1914.
In questa sede si tenne, il 28 settembre 1919, il 1° Congresso dei socialisti tedeschi, che vide alla presidenza Larcher, Reitmeier e Unterkirchner. Il Congresso deliberò la pubblicazione di un periodico "il Volksrecht" (che uscirà fino al 1923), e l'adesione al Partito Socialista Italiano per stabilire rapporti costanti, dopo avere definito i rapporti con la socialdemocrazia austriaca.
Lo stesso Congresso approvò un ordine del giorno nel quale, vista l'impossibilità di esercitare il diritto di autodecisione, si chiedeva un'ampia autonomia per il territorio tedesco; il riconoscimento ufficiale della lingua tedesca; la libertà di stampa e di associazione ed il mantenimento ed ampliamento della legislazione sociale.
Nell'articolo pubblicato da "L'Internazionale" del gennaio del 1920, Flor sostiene che, da un punto di vista socialista, l'auspicabile autonomia per i sudtirolesi non avrebbe dovuto risultare dannosa per la minoranza italiana residente in Alto Adige. Lo stesso organo del partito, pochi mesi dopo ribadiva gli stessi principi.
Lo stato, la nazione (e le minoranze nazionali)
La storia contemporanea del Trentino e dell'Alto Adige è sempre stata storia di minoranze etniche: minoranza italiana, quella trentina, all'interno dell'Impero austro-ungarico, fino al termine della prima guerra mondiale; minoranza tedesca, quella sudtirolese, all'interno dello Stato italiano dall'annessione in poi.
Può sembrare paradossale la situazione di quei popoli che si appellano al nazionalismo per ottenere i propri diritti in nome della sopravvivenza contro una nazione, negando però gli stessi diritti ad altri popoli che si trovano al loro interno, in un'epoca in cui il dilagare dello Stato sembra sostituire progressivamente la società civile e la nazione.
Tuttavia in questo momento storico non sembrano esserci alternative credibili alla nazione e negarne l'importanza non è meno pericoloso che farne l'apologia. Solamente quando "la nazione" riscoprirà il proprio scopo principale di ridistribuire delle chance culturali si potrà parlare naturalmente di "nazionalismo", "regionalismo" e "federalismo".
Oltre all'attualità delle questioni nazionali, è da sottolineare la complessità di queste situazioni: al fondo delle questioni nazionali agiscono fattori di ordine etnico, linguistico-culturale, politico, sociale, economico, religioso, psicologico, e non è quindi possibile dare spiegazioni monocausali, anche considerando l'evoluzione storica di ogni singolo fattore.